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I mai visti IV – Memorie di paesaggi

Memorie di Paesi  

 

In una mostra alle reali poste, i Paesaggi dei depositi degli Uffizi. Sono esposte, tra le altre, opere di Botticelli, Filippino Lippi, Sodoma, Guercino, Poussin, Lorrain, Dughet, Ruysdael, Magnasco, Vanvitelli, Canaletto, fino a Balla e Morandi.

 

Col Natale anche quest'anno torna, come un pensiero d'affetto per la città e i suoi ospiti, l'esposizione d'opere degli Uffizi che, per esser conservate nelle stanze dei depositi o in luoghi fuori dell'ordinaria frequentazione, sono poco note (o punto). Il filo che trascorre la mostra attuale è il paesaggio: da quello che slontana nelle tavole dei primitivi, a quello che - finalmente solitario - trionfa nelle tele del Seicento, fino alle vedute attuali, riprese magari con l'occhio d'una macchina fotografica. Al cospetto degli scempi cui sono sottoposte oggi le nostre terre, càpita opportuna l'occasione di volger lo sguardo a una natura ritratta dalla mano d'artefici, che ne hanno tramandata poetica memoria; giacchè se ne potrà forse desumere qualche insegnamento morale e insieme qualche stimolo a mutar partito. Ci sarà dato imbattersi, alle Reali Poste, in epifanie di differenti timbri. A partire dalla foresta fitta d'alberi di fiaba, dove un san Romualdo in posa tricliniare sogna la sua scala per il paradiso; e siamo allo scadere del Trecento. E, poi, scollinare nel secolo seguente; per trovare - in una predella di Neroccio - architetture e paesaggi (ma nel contempo anche un'umanità) come sortiti dalle invenzioni d'un novelliere di formazione umanistica, col piacere peròdi tener desta la tradizione fiorita del gotico. Ma subito lì, accanto, ecco che principiano a palpitare visioni già segnate dall'interesse per una rappresentazione veridica della natura: dietro un gibbo roccioso, dov'è scavato il sepolcro nuovo per il cadavere di Cristo, s'intravede in alto un Golgota sparuto, e alle sue falde è ritratta alla fiamminga una piana trascorsa da vie ampie sterrate che portano a una Gerusalemme di fantasia e a monticoli distanti (come se ne trovano nei contorni di Firenze; dove verisimilmente fu dipinta questa tavola dal van der Weyden, in Italia per il Giubileo di metà Quattrocento). E Firenze, ormai sullo scorcio del secolo, col suo profilo di guglie e cimase sovrastate dalla cupola brunelleschiana, ritorna nella piccola scena allegorica che i più ascrivono a Filippino Lippi, ma che forse è più consona alla meno palpitante voce di Raffaellino del Garbo. Oltre le mura della città, s'apriva - allora libera - la campagna. Peròdelle distese d'erbe fuori porta, delle colline che facevan serto, del fiume che seguitava il suo corso verso il mare, delle selve che coprivano le forre, (a Firenze come a Roma) si cominciòa serbar memoria autonoma soltanto dal Seicento; secolo d'oro per i paesaggi. E furono soprattutto i forestieri venuti d'oltralpe, a esser suggestionati dalla poesia della natura mediterranea. Erano olandesi, fiamminghi, francesi, tedeschi, che in Italia, e a Roma in particolare, scendevano per un soggiorno ch'era d'obbligo per chi volesse educarsi all'arte. E non tutti trovarono la forza di ripartire. A Firenze i Medici qualcuno se lo coltivarono, e n'ebbero di che esserne contenti. Ma fu certo nell'Urbe che la più parte d'essi trovò ragione di fermarsi. Soltanto a Roma il senso dello splendore, e nel contempo lo struggimento della sua caducità, sopravvivevano negli erratici lacerti monumentali, disseminati per la campagna; ch'era subito a stretto ridosso dei palazzi moderni di città; e quasi li accerchiava, e l'erba ne rimontava indomita le balze.

 

Antonio Natali