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2002 - Allegoria della Fortuna (ca. 1515)

LA FORTUNA DEGLI UFFIZI

Un dipinto del 'Maestro dei paesaggi Kress', oggi riconosciuto come Giovanni di Lorenzo Larciani, torna in Italia ed è donato alla Galleria dagli Amici degli Uffizi. Un capolavoro prezioso.

 

Nel 1962 usciva in due puntate, sul 'Bollettino d'arte', uno degli articoli più suggestivi e di più spigliata maestria scritti da Federico Zeri; uno di quelli che devono per forza entrare nel bagaglio della bibliografia essenziale d'ogni storico dell'arte. Quel saggio, votato allo studio di nuclei d'opere di primo Cinquecento radunate sulla scorta di stilemi che le accomunano, è diviso in capitoli diversi, che in esponente recano il nome fittizio inventato da Zeri per battezzare i maestri anonimi, alla cui mano andava condotto ogni singolo corpus da lui riassemblato nel corso delle sue indagini sui pittori meno noti di quella stagione. Sono pagine dense, d'una scrittura piana e perfino semplice, lontana dall'eloquio raffinato e insieme spregiudicato di Roberto Longhi, che d'ogni conoscitore e filologo era, e tuttora è, il nume tutelare. E tanto più lo era di Zeri, che giusto in quell'indagine pare render merito al magistero longhiano, mettendone virtuosisticamente a frutto sia gli esiti che lo spirito. Nelle sue parole non vibrano certo le folgoranti immagini del maestro, avvezzo a muoversi fra i quadri col lessico del poeta; e però direttamente da Longhi discende l'acume attributivo che impronta tutto il saggio. 'Eccentrici fiorentini' n'è il titolo. E quel titolo da allora aleggia, quando proprio non sia esplicitamente evocato, ogniqualvolta si ragioni d'artefici fiorentini e, più in generale, toscani, impegnati in una linea espressiva che defletta, nel verso della stravaganza, dall'indirizzo in voga nei primi decenni del sedicesimo secolo (esso pure peraltro segnato da una vivida originalità formale). Dei pittori che Zeri fece aggallare nell'acqua un po' stagnante dei tanti artisti senza nome, uno ce n'era che, proprio per la sua eccentricità linguistica, emergeva prepotente. Zeri l'aveva chiamato 'Maestro dei paesaggi Kress' per via d'alcune tele conservate alla National Gallery di Washington e ch'erano parte, appunto, della collezione Kress. Storie minute. Vedute capricciose di città. Vicende fantastiche di un'umanità pigmea, calate nel verde d'una natura disegnata da un falotico demiurgo: rocce scheggiate, selve bambagiose, ciuffi di rami a mazzi, siepi a ventaglio, e, accanto, tronchi che s'ergono ritorti fra gibbi muscosi. Visioni che poi tornano in tavole di dimensioni più grandi. Paesaggi che Zeri adottò quale denominatore comune per la sua indagine, e che, nel tempo, hanno consentito l'accorpamento di un buon numero di quadri. Da quel 1962 il catalogo del 'Maestro dei paesaggi Kress' s'è allungato; ma il nome dell'artista è rimasto ignoto fino al 1998, quando uno storico americano, Louis Alexander Waldman, scorrendo in archivio le carte che dovevano confortare la sua ricerca su Baccio Bandinelli, s'imbattè nel contratto d'allogagione d'una pala d'altare che tuttora rappresenta uno degli apici della carriera dell'anonimo pittore. La descrizione del soggetto, cui l'artefice avrebbe dovuto attenersi secondo la committenza, non lascia campo a dubbi sull'identificazione della pala con quella tavola di Fucecchio ch'era proprio del novero compilato da Zeri, e che ho fortemente voluto alla mostra dell''Officina della maniera', facendone uno dei fulcri della sezione che, non a caso, portava il titolo: 'Rosso Fiorentino, i forestieri, gli eccentrici'. Su quella tavola una Vergine compunta se ne sta inginocchiata, in atto d'adorazione, davanti a un robusto fanciullino che a terra gesticola e sgambetta, mentre quattro Santi inteccheriti le fanno contorno; e da fondale funge una monumentale architettura, sovraccarica di modini, dal cui fornice si traguarda il solito, inconfondibile, paesaggio immaginifico. Con quell'atto notarile il maestro senza identità aveva dunque trovato il suo nome: Giovanni di Lorenzo Larciani; o, forse meglio, da Larciano, visto che i luoghi dove si trovano i lavori di lui, in un'ubicazione verisimilmente originaria, punteggiano le terre che oggi si spartiscono le provincie di Firenze, Pisa e Pistoia, dov'è appunto il paese di Larciano. Proprio a Giovanni di Lorenzo si deve il prezioso dipinto della 'Fortuna' che gli 'Amici degli Uffizi', generosamente secondando un mio auspicio, hanno donato alla loro Galleria. Dipinto che per il momento preferisco lasciare all'apprezzamento che ne consente l'illustrazione qui vicina, ma per il quale in attesa di un'imminente piccola esposizione, vplta a collocarlo in una rete di rapporti formali che già si preannunciano culturalmente seducenti non mi posso esimere dal ribadire l'attributo, che ora gli ho riservato, di prezioso; giacchè prezioso lo è per più d'una ragione: per la personalità del pittore, tutt'altro che convenzionale; per la rarità del soggetto profano nell'àmbito del catalogo di lui; per il tenore qualitativo ch'è fra i più alti di tutta la sua produzione; per l'eleganza che impronta l'impaginazione nel suo insieme; per la varietà dei toni, che svariano dal grifagno (della mano artigliata o del volto stregato) al soave (dell'argentato delfino o del nudo sinuosamente opulento); e finalmente per il fatto che un'opera dell'arte italiana - grazie a Dio - compie un tragitto inverso all'usato; se ne torna cioè dall'estero in Italia (per di più, in un grande museo dello Stato). E non è davvero cosa dappoco. Antonio Natali